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I Nuovi Mostri | L'ELEGANZA DEL RICCIO, Muriel Barbery

| I Mostri Antichi li conosciamo, o quantomeno fingiamo di conoscerli, ma i Nuovi Mostri? Chi sono, dove sono?



La mia lettura

L'arte è la vita, ma su un altro ritmo.

Vi consiglio di prenderla molto sul serio questa frase, perché stavolta proveremo davvero a dire quanto contiene e significa questo libro.

Brevemente però, intanto, i prodromi.

Dovremmo osservare anzitutto, a beneficio del lettore che si accosti alla lettura, che la prima esperienza, come ogni rito iniziatico, imprime a fuoco il suo marchio.
Se poi sei giovane e dunque vorace, con una passione mortale per il grande romanzo russo ottocentesco, e se covi la pazza idea che la lingua racchiuda ermeticamente nei suoi segreti meccanismi la categoria del sublime, allora questa, sappilo, sarà la lettura che non ti lascerà scampo alcuno.
Per chi c'è già passato (e questo è il mio caso) il discorso si complica insolitamente: in mezzo si frappongono pur sempre quei sei o sette anni, che significano altre esperienze, altre letture, affinamento del gusto (si spera, sempre), tempo che passa, in definitiva, per cui tanta roba finisce col perdersi nelle corsie secondarie della memoria, e ritrovarla ora è uno shock che si rinnova (bene); di contro, altre cose sono esattamente come le ricordavi, dove le ricordavi, ma parimenti qualcosa non quadra: basta poco per accorgersi che è la prospettiva da cui guardi ad essere cambiata (bene di nuovo).
In sostanza quello che ti colpisce ripetutamente è il senso di riscoperta (e questa, miei signori, è cosa molto buona).

Posto ciò, concentriamoci pure sul livello di difficoltà. C'è un motivo se questo libro appare di difficile comprensione, ma quel che è certo è che lo stile non c'entra per niente. Il fatto è piuttosto che L'eleganza del riccio può leggersi benissimo come un ciclo di lezioni di estetica (la citazione d'apertura era appunto per mettervi in guardia, e poi, scusate, il titolo stesso?). Beninteso: quella branca ribelle della filosofia nata nel '700 che ha per oggetto di studio l'umano sentimento del bello. Coglierne i frutti può non rivelarsi così agevole. Parliamoci chiaro: approcciarsi a un modo di pensare che si serve in tutta nonchalance di concetti filosofici non è affatto una passeggiata, quand'anche il periodare liscio e sicuro sembri non concedere margine al dubbio. Mai abbassare la guardia. E però c'è, indubbiamente, qualcosa di ammaliante in questo. Tanto più che, a semplificarci (o complicarci, invece?) notevolmente la vita, il discorso si dipana su due percorsi: una portinaia cinquantenne con una crudele sorte da "clandestina" e una ragazzina in silenziosa guerra con un mondo irrigidito da belve immonde quali, apatia, ipocrisia, immutabilità.
La linea trasversale che taglia di netto questo microcosmo, ma tagliando crea stupende intersezioni: il Giappone. Il Giappone che vedremo tra breve quali e quante vie oblique sceglie per manifestarsi e irrompere come epifania ricorrente. Epifania, quindi illuminazione. Si tratterà, dunque, di scoprire chi è disposto a riceverla, quali anime si dischiudono al suo impercettibile passaggio.
E a questo punto più non dico, fatela voi questa faticaccia di scoprire come andrà a finire.

Avviciniamoci al nocciolo.
Il dramma che va in scena al 7 di rue de Grenelle è il dramma del determinismo a cui non si sfugge. Non solo il riscatto non è contemplato, è che non esiste possibilità di scelta alcuna al di fuori del così costituito ordine delle élite.
Il livello antitetico dei principali leitmotiv è già in sé esemplificativo:
  • «la camelia sul muschio del tempio»;
  • «pioggia d'estate»;
  • «la boccia dei pesci»;
Paloma preferirebbe una posa socratica da suicida piuttosto che finire in quella boccia. Madame Michel coglie le sue camelie di nascosto dal giudizio della società. Perché non esiste che ciò che la società reputa degno di esistere e i movimenti eversivi, agli occhi del bel mondo, semplicemente: non esistono.
Sfogliate il libro fino a trovarvi faccia a faccia con Madame Josse, tipico esemplare di questa specie dominante di semi-dormienti, a pagina 261.
Cos'è che Solange Josse ha (intra)visto? Un'anomalia.
Partiamo da Manuela. L'idea che una domestica portoghese, di professione cacciatrice di polvere nelle case dei ricchi, sia, nell'intimo, un'aristocratica e che da vera aristocratica si presenti puntuale, ogni martedì e giovedì, per il rituale del tè, alla guardiola di un'amica portinaia brutta e scorbutica che ha al suo seguito - oltraggio bello e buono - un gatto di nome Lev (dicevo io, che i russi c'entrano) e in dotazione extra una rara sensibilità per la perfezione della lingua, sarebbe già abbastanza di cui rabbrividire. Ma una domestica, anche colta nel gesto da gran dama di porgere un vassoio di delicatezze, non di meno resta una domestica: indegna di nota.
A fare la differenza è Kakuro Ozu.
Quest'idea, così candidamente espressa da Monsieur Ozu, «è possibile avere due qualità contemporaneamente», fa trapelare l'incrinatura: che tutto dunque si riduca a una burla, a una farsa?

La guardiamo tutti e tre con aria interrogativa, quasi fossimo i partecipanti a un banchetto importunati da una serva maleducata.

Inutile persino dirlo, la farsa è un'idea di mondo che la candida Madame Josse, indolente annaffiatrice di felci e figli, non saprebbe neppure concepire.
Ma intanto Ozu è segno mirabile che l'unica arma abbastanza affilata da scalfire la mediocrità è la gentilezza, «questo modo di fare che dà all'altro la sensazione di esserci».
C'è dell'altro, però, c'è qualcosa nel volto dell'uomo che Paloma riconosce, o meglio, che coglie di riflesso in lui, dopo aver visto la nipotina Yoko, e che ovviamente la turba.

È la prima volta in vita mia che incontro qualcuno di cui non riesco a prevedere il destino, qualcuno le cui strade della vita rimangono aperte, qualcuno pieno di freschezza e di possibilità.

Certo per l'«anima affamata» Renée, non può dirsi davvero lo stesso.

Nell'istante in cui finalmente nascevo, suscitavo solo pietà.

Non dimentichiamo poi quel «But ah! forget my fate» dal Didone ed Enea di Purcell, fatto scivolare a puntino proprio nel mezzo del cuore del dramma, il canto del cigno, ha tutta l'aria di una pistola di Čechov, carica di intenzioni, con ogni probabilità, affatto liete.

Bisogna possedere l'autodisciplina di un chirurgo che incide nella carne viva per scrivere così, «non ci maltrattavano [gli adulti] e i nostri vestiti da poveri erano puliti e rabberciati», senza nulla concedere alle emozioni, la purezza del dato oggettivo. Insomma, presumo il  concetto sia chiaro: la scrittura di Barbery scorre con sicura forza fluviale, comunque senza impaludarsi in un lirismo vacuo, rischio presto smentito dalla costanza matematica della formulazione di un solido pattern: primo passo, il manifestarsi di un preciso oggetto (più o meno tangibile) in un preciso momento; l'oggetto, che potrà essere un fiore senza nome per Jean Arthens o una fatale pioggia d'estate o un pacco dall'aspetto wabi, crea una sospensione cartesiana (epoché), uno stato di ribellione, di attesa. Quindi, da manifesto, l'oggetto diviene simbolico, intorno ad esso cioè si raccoglie una dimensione di sacralità, e quale simbolo verrà (anche più volte) rievocato o adeguatamente rifunzionalizzato in un segmento testuale specifico: così ad esempio la pioggia d'estate rigenera dalla fatica le spalle di Levin, la camelia dall'eternità del tempio (ancora il Giappone: il tempio di Kyoto) si schiude tremula nel cuore di una Renée pronta a disintegrare le pareti della «boccia dei pesci».

Tutto qua. Quel tipo di costruzione così insopportabilmente perfetta, ma proprio in modo accecante, da scatenare nel lettore la sensazione travolgente che, continuando a grattare, la bellezza gli resterà appiccicata alle unghie.
Potete amarlo disperatamente o detestarlo e neanche cordialmente, ma presto o tardi dovre(s)te farci i conti.


L'eleganza del riccio | Muriel Barbery | Traduzione di Emanuelle Caillat e Cinzia Poli | Edizioni E/O 2007 | 318 p. | euro 18,00


Parole nuove: alamara, anodino, astenico, babbiona, forcluso, gabardine, lubrico, martingala, matema, melopea, scarsella, sussunzione, tricologico, zingatore;

Bonus track: Dido's lament, Henry Purcell



Il verdetto della Balena Parlante: ★★★★★


Commenti

  1. Deve leggerlo Rosa. Ce l'ho, da qualche parte. Ne ho sentito parlare molto bene, ma anche molto male, proprio per questo sono ancora più curiosa. E poi tutte queste parole nuove: sussunzione ad esempio. Bella storia. Mi dovrei muovere.

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    1. Superconsigliato anche il film (di solito lo danno su Rai Movie), esempio fulgidissimo di come un adattamento cinematografico possa rendere piena giustizia al libro.

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    2. Poi, beh, per esempio, mia madre l'ha abbandonato dopo pochi capitoli, ma, come ho detto, secondo me è uno di quei libri con cui bisognerà fare i conti. E sarei molto curiosa di leggere il tuo punto di vista.

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  2. Ho visto il film tanti anni fa, ma lo ricordo poco a dire il vero. Però mi piacerebbe provare a leggere il libro.

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    1. Bellissimi entrambi, di una delicatezza e di una crudeltà tali da schiacciarti.
      (In più il film ha una colonna sonora che ricorda parecchio le composizioni di Ennio Morricone, cosa non da poco).

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