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Di cosa parliamo quando parliamo di Vani Sarca | Intervista ad Alice Basso



Ho incontrato Alice Basso il 15 dicembre, a Porto San Giorgio (un freddo demoniaco, ma ne valeva la pena, oh sì), durante una delle ultime presentazioni de La scrittrice del mistero (Garzanti 2018) e, a scanso di equivoci, mi sento in dovere di mettervi sull'avviso: questa donna è, realmente, quello che sembra, un concentrato di energia, il tipo con cui faresti ben volentieri notte fonda parlando sconclusionatamente di roba bellissima che non ti darà da vivere, libri libri libri film libri musica libri libri libri libri (proprio così, in loop). Soprattutto, però, quello che percepisci chiaramente, ascoltandola, leggendo i suoi libri (due racconti e quattro romanzi già pubblicati, più un quinto atteso per maggio), è che dietro il suo lavoro, di editor e di scrittrice, ci sono onestà e competenza in pari misura.
Nel 2013 è nel mondo dell'editoria da dieci anni, un ambiente «per niente asettico» (parola di Alice Basso) in cui succedono le cose più buffe e assurde, perché, molto semplicemente, un libro è una faccenda tutt'altro che impersonale, così l'idea nasce praticamente con logica consequenziale: perché non raccontarlo questo mondo? (Com'era? Scrivi di ciò che conosci?). Ed eccoci al 2015, quando (che i muri tremino) in libreria arriva l'imprevedibile ghostwriter Vani Sarca e, con lei, un clan allargato di personaggi decisamente particolari selezionati con cura.
Il resto si suppone già lo sappiate da voi (vero?), tuttavia qui, oggi, vogliamo provare a grattare via la superficie per scoprire cosa c'è sotto, quindi è proprio un bene che con noi ci sia la stessa Alice Basso, che ha accettato di intervenire e che ringrazio (e che credo abbia ben stampato in testa il senso letterale di questo "grazie").


Foto di Sara Lando


Nei tuoi libri, veramente pregevole è il modo in cui alta e media letteratura convivono e si adattano perfettamente l'una all'altra. Si sente che quando citi apertamente un autore o inserisci dei riferimenti meno diretti, quello che ti interessa è che al lettore arrivi chiaro e tondo il messaggio: «Guarda, io te la veicolo così, come io so fare e come a me piace fare, e spero che tu ti stia divertendo tanto quanto me, ma ti prego, ti prego, vedi questa roba qui? Ecco, vai a cercartela, in libreria, in biblioteca, in e-book, ma leggila, perché non hai idea di quanto ti piacerà». Tutto questo, insomma, per dire: uno, hai tutta la mia stima, due, ma come diamine ci riesci? Come fa una persona a cui piace scrivere a diventare scrittore, cioè, in sostanza, a capire cosa vuole scrivere e, soprattutto, come farlo bene?

Tesurìn, come diciamo a Torino, io t'avverto: già sono logorroica di mio (e lo sai, perché ci siamo parlate); se poi tutte le tue domande sono così, cioè che una ne nasconde ventisei, quest'intervista dovrai pubblicarla a puntate come i feuilleton! Detto ciò, vediamo se riesco a essere – ih ih – breve:

  • come riesco a far passare il messaggio “ti prego, vai a leggere il libro che ho appena citato, perché è BELLISSIMO”? Guarda, nemmeno ero sicura che passasse, ma se mi dici che è quello che succede, be', sono la persona più felice del mondo!
  • Come fa una persona a cui piace scrivere a diventare scrittore. Aaah, bella, bella domanda. Ci vuole tanta fortuna, e fin qui credo siamo tutti d'accordo. Però la fortuna può essere aiutata (anche se mai del tutto sostituita) da azioni precise: intanto, leggere e cercare, quantomeno, di scrivere bene, e poi imparare a presentarsi professionalmente in maniera convincente, a partire dalla email o lettera con cui si invia il proprio lavoro.
  • E come fa una persona a cui piace scrivere a capire cosa vuole scrivere: be'... spesso capisci che vuoi scrivere proprio perché c'è una storia che muori dalla voglia di raccontare!

Il personaggio di Vani è la chiave del gioco metanarrativo, in parte perché la letteratura è il suo mestiere, ma molto di più perché lei da certa letteratura si lascia plasmare, ne fa un codice, in senso sia morale sia linguistico. Perciò è fisiologico che davanti alla mediocrità che la circonda, lei metta su questo cipiglio parecchio snob e spavaldo anche. Il che poi ricorda un altro personaggio, che Vani ama moltissimo e che nel quarto libro è campione di un amore sano, nel senso cioè di autentico, disinteressato: Cyrano de Bergerac.
Io l'azzarderei: e se, più che Lisbeth Salander, fosse invece lui il vero alter ego di Vani Sarca?

E io con questo ho praticamente realizzato il sogno della mia vita: raga, ho scritto un personaggio che ha ricordato Cyrano de Bergerac; ciao a tutti, posso anche morire felice. (Dio, quanto amo Cyrano. Grazie, grazie per avere detto che Vani ha tanto di lui. Lo penso anch'io, l'ho fatto apposta, ma un conto è provarci, un conto è quando ti rendi conto che qualcuno, leggendo quello che hai scritto, l'ha capito davvero).

Per Berganza hai un occhio di riguardo, è lampante, fosse anche solo perché ne hai fatto il detective definitivo, che sulla scena emana come una sorta di flusso magnetico, persino quando di fatto in scena non c'è (rendiamoci conto) e sì, sto pensando al racconto (prequel bellissimo) La ghostwriter di Babbo Natale. Giustamente però non basta: le sue battute sono sempre fulminanti, in una sola frase riesce ad apparire insieme tenero e ruvido, è molto protettivo verso Vani, ma non in quel modo soffocante, al limite dello stalking, di tanti bad boys da Young/New Adult. Oh insomma, poi chi la dice giusta è Morgana, Berganza è «un vero uomo», e lo è proprio perché non sente il bisogno di dimostrarlo.

Guarda, Berganza è il mio capriccio personale, se così si può dire. Quando ho inventato la trama del primo libro, mi sono guardata dentro e mi sono detta: “Io nel mio libro voglio, assolutamente voglio, un personaggio così. Un detective anni Cinquanta, con l'impermeabile e la sigaretta e un massimo giornaliero di cento parole ma tutte sagaci. Sarà troppo romanzesco, sarà un omaggio fin troppo smaccato alla tradizione degli investigatori del noir d'antan... ma chissenefrega: tanto, chi mai vuoi che lo legga, questo libro, oltre a me? Quindi posso farci tutto quello che voglio!”.

L'altro protagonista maschile è Riccardo Randi e, siccome tu sei molto ma molto scaltra, lo hai reso un personaggio non meno complesso e interessante. Per dire, il ruolo di scrittore affascinante, che incidentalmente si trova ad essere il gallo nel pollaio, lo diverte sicuramente (e dagli anche torto, su questa immagine campa di rendita), però non è stupido, sa benissimo che è tutta scena, tant'è che Vani, l'unica persona che abbia visto in lui qualcosa di più, non riesce a togliersela dalla testa.

Riccardo è un altro cliché con le gambe con il quale mi sono divertita tanto a giocare. Perché quando decidi di piazzare un belloccio nel quadro puoi dargli un sacco di funzioni, a seconda del genere letterario in cui ti trovi: può essere il buon partito, l'uomo perfetto; può essere il bastardo senza cuore; può essere il narciso cretino da sfottere. Lui se li passa un po' tutti e tre, i ruoli. Ma una cosa è certa: essendo un uomo che ha, o almeno ha avuto, un certo ascendente su Vani, un cretino al quadrato non sarebbe mai potuto essere. Perché se c'è una cosa che mi fa esplodere l'istinto polemico, quando non omicida, sono le storie in cui un personaggio positivo perde la testa per un/a palese imbecille: io penso che la nostra intelligenza si misuri anche sulla qualità delle persone di cui c'innamoriamo, e rendere Riccardo una bestia avrebbe tirato in basso anche la nostra Vani.

Non ditelo allo scrittore, il terzo capitolo, è, per quello che è soltanto il mio poco oggettivo parere, un sistema perfettamente calibrato e autosufficiente, e uno dei suoi punti di forza sta nell'uso sapientissimo che fai dei flashback, che costruiscono un percorso preciso e unitario, in pratica un vero e proprio racconto (anche abbastanza doloroso) parallelo alla trama principale.
Sono curiosissima: come, quando e con quali tempi hai lavorato su questo che è indiscutibilmente il tassello decisivo per gli sviluppi della serie?

Ti dirò un segreto (che non è proprio un segreto perché ne parlo spesso negli incontri, ma non così spesso... un mezzo segreto, via): inizialmente, all'epoca della prima stesura del primo libro, pensavo che avrei relegato tutto il passato di Vani in un unico libro, una specie di prequel. È stata la mia editor, Adriana, a suggerirmi di spezzettare i materiali che avevo facendone dei flashback, in modo da suggerire subito al lettore “come Vani fosse diventata Vani”, e capirla meglio sin da subito. Quando mi chiedono in che modo un editor può contribuire alla buona riuscita di un romanzo, io faccio appunto spesso questo esempio, perché il suggerimento di Adriana si è rivelato assolutamente vincente, tanto che quando di lì a poco ho confezionato le trame di tutti e cinque i libri l'ho fatto tenendolo bene in mente.

L'universo mediatico, in questi libri, ha un peso non indifferente e per niente scontato (i casi di Riccardo e di una certa food blogger direi che parlano da soli). Poi ho scoperto che tu, tra le altre cose, ti sei occupata di testi per aziende di prodotti multimediali. Che tipo di ricordo hai di quell'esperienza? Hai preso spunti anche da lì mentre scrivevi? E, in generale, come vedi l'integrazione tra l'editoria e i media? 

La scrittura per i media ha regole talmente specifiche, e per certi versi talmente diverse dalla scrittura di un romanzo, che tuttora mi causa degli shock. Per esempio, l'immediatezza con cui è necessario, su qualsiasi medium di massa, far passare il messaggio, da una parte mi ha sempre frustrata e talvolta indignata, essendo io una logorroica che si rifiuta di considerare il tempo impiegato a leggere due righe in più “tempo sprecato”; dall'altra però mi ha costretta a sviluppare un rispetto e anche un gusto per la sintesi che, per esempio, fanno benissimo al senso dell'umorismo. A volte lavorando per i media ti senti come se fossi costretto a parlare a un pubblico di bambini dell'asilo; ma quando riesci a farti capire dai bambini dell'asilo hai la prova provata che ti sei spiegato bene sul serio...

In un'intervista di qualche tempo fa per Radio Bicocca (qui) hai lanciato due indizi dal potenziale dinamitardo su quello che dobbiamo aspettarci dal quinto libro, l'ultimo: un piccolo viaggio in vista per Vani e il commissario, e su questo punto, amen, accettiamo serenamente che non ci dirai nulla, altrimenti dove sta il bello, insomma? Il secondo, tuttavia, richiede un attimo di attenzione, perché, cito testualmente, «il quinto libro sarà il più avventuroso della serie». E come sbagliarsi, se concludi il precedente capitolo in quel modo lì? Ma dicci la verità: non hai lasciato proprio nessuna traccia fin qui, così, tanto per mettere alla prova le nostre capacità investigative? Sapremo dunque tutto solo in Vani 5?

Grazie della domanda. Devi sapere che una delle ragioni, anzi, forse la ragione principale, per cui ho deciso sin dall'inizio che i libri sarebbero stati cinque e solo cinque, era che avevo intenzione di sfornare una serie breve ma compatta, con un capo e una coda, che desse la sensazione, a lavori conclusi, di un qualcosa di unitario e coerente, in cui “tutto tornasse”. Ecco: in questo quinto e ultimo libro si tireranno un sacco di fila, il che significa che nei libri precedenti ci sono già una miriade di dettagli e di indizi e di elementi, magari apparentemente non importanti, che però troveranno una loro ragion d'essere alla luce dei fatti del quinto. Okay, basta, altrimenti alzo troppo le aspettative e poi dobbiamo chiamare la Rowling...

Lo scorso novembre hai diffuso la notizia su Facebook (in un post dei tuoi, meravigliosamente logorroico) dell'esistenza di tre nuovi progetti, che hai già presentato alle tue editor, e tutto quello che sappiamo in proposito è cosa non sono, cioè libri con protagonista Vani Sarca, il cui filone narrativo hai dichiarato definitivamente concluso, quindi la domanda è d'obbligo: cosa puoi rivelarci per ora? E poi, fondamentale: si tratta di tre progetti distinti?

Lasciami fare una piccola premessa, va': amo tantissimo Vani, tuttora, e la scelta di concludere la serie, come ho detto, non si deve affatto a noia o saturazione, anzi; io lo considero un atto di rispetto nei confronti di Vani e degli altri personaggi. Ciò detto, i futuri progetti mi fanno sberluccicare gli occhi e sono distinti e diversi fra loro... persino per genere! Una cosa però non cambierà mai: saranno sempre intrisi di humour, di battute, di ironia, perché a scrivere roba seriosa, o anche solo a prenderla troppo sul serio, proprio non mi ci vedo.

Consigliaci un libro (non puoi dire La principessa sposa, troppo facile sennò), magari un bel malloppone, perché qui urge trovare il modo di far passare il tempo fino a maggio.

Cosa ne pensi di Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay, di Michael Chabon? Premio Pulitzer nel 2001, quindi ci faccio pure bella figura, a consigliarlo. Parla di due ragazzini che, durante la Seconda guerra mondiale, inventano un supereroe e scrivono un fumetto. E poi chiedevi un bel malloppone, e questo, se non ricordo male, ha circa 700 pagine!


| La serie di Vani Sarca, Alice Basso, Garzanti:

Nascita di una ghostwriter (#0)
La ghostwriter di Babbo Natale (#0.5)
L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome (#1)
Scrivere è un mestiere pericoloso (#2)
Non ditelo allo scrittore (#3)
La scrittrice del mistero (#4)

Amazon/Ibs


Postille: Da buon segugio, ho seguito la pista tipo immediatamente, ed ecco cosa ho trovato: Michael Chabon, oltre che scrittore e, appunto, Premio Pulitzer, è anche sposato con uno scrittore, cioè una scrittrice, che io adoro perché è così cattiva, Ayelet Waldman (se vi dico L'amore e altri luoghi impossibili?).
Del Cyrano de Bergerac (insieme all'opera originale di Rostand), io caldeggerei la visione dell'adattamento teatrale con Alessandro Preziosi, che è un tragico paradosso, lo so, c'è da strapparsi i capelli per ogni volta che quest'uomo maledice il suo «aspetto deforme», ma è comunque tutto molto d'effetto, garantisco io.
Due cose da non perdervi casomai capitaste a Porto San Giorgio: LA pizza al Cip & Ciop, dove le foglie di basilico hanno del portentoso e ci sono ragazzi che fanno musica niente male del genere dei Gen Rosso, e la Mondadori, ché già dalla vetrina capisci che lì gira roba buona.
E poi, beh, last but not least, un grazie a Stefania, La Bacci, per aver prontamente debellato tutti i miei dubbi di logistica sulla gestione di un'intervista. Sei stata preziosissima.



Commenti

  1. ma che meravigliosa intervista brava Rosa mi è piaciuta tantissimo
    e sappi che nel leggere le risposte di alice mi immaginavo anche la sua faccia e la sua voce ben intonata!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti dico la verità: anch'io!
      E grazie, Chicca, è la prima volta che pubblico un'intervista, ero abbastanza sulle spine.

      Elimina

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